La storia di un artista somiglia spesso alle sue opere. Quella narrata da Antonio Cremonese, poi, è speculare alla propria coscienza. I suoi segni sono l’identità specchiata del suo essere, i colori il manto di questo sogno. Romano di Roma, figlio del popolarissimo quartiere di San Lorenzo e di quello spirito arguto che connota molti figli di questa città, Antonio Cremonese è anche un pittore di profondo impegno civile e di intensa qualità poetica.























Dunque un artista completo, Cremonese, un artista che sa ridere e temere, ironizzare e soppesare le profondità della vita, ma che soprattutto riconosce ancora alla pittura il ruolo fondamentale di “strumento ottico” per la scoperta del mondo. come un futurista egli pone “lo spettatore al centro del quadro”; come un minimalista porta il gesto del dipingere sulla superficie fino a renderlo oggetto stesso della rappresentazione. I suoi segni sono tessuti vaporosi carichi di sogni in cui si stagliano le icone irriverenti della notte della coscienza. A volte, forse, addirittura troppo ingenuamente crudeli e spietate, ma mai in contrapposizione con il resto delle cose.


Mi duole un po’ che la critica non abbia finora esaltato questo schema interpretativo della ricerca di Cremonese che propone una sua appartenenza ideale al mondo delle avanguardie. Una discendenza questa che può tranquillamente leggersi via via che dal suo lavoro si isolano e si scoprono i lati destabilizzanti del surrealismo, esasperati e ipercromatici del futurismo fino ad arrivare alle parentele più recenti con la cosiddetta Scuola Romana di piazza del Popolo e più precisamente con le superfici di Festa e Angeli allorchè dalle sue tele riemergono forme isolate e spaesate di una nuova realtà.


Come per ogni artista di avanguardia che si rispetti, dunque, anche per Cremonese ha valore il peso utopico della creazione. L’opera non si forma mai sulla soglia della cornice. L’opera non imbelletta la vita. L’opera è la vita stessa! la presenza è continua. Dentro, fuori, oltre e in tutti i luoghi l’artista non si rassegna mai , né rinuncia a combattere per i motivi ideali per  cui crede e a cui si sente legato. La “ricostruzione l’universo” annunciata nel celebre Manifesto futurista viene vissuta da Cremonese come obiettivo primario del fare arte in questo tempo. La realtà va trasformata! Il pittore ha l’obbligo di denunciare, narrare, affabulare, sorprendere, tradire, allietare, negare, agire, presagire e quant’altro ancora, ma su tutto ha il dovere di cambiare le cose. Così come Cremonese si intende in questo mondo è nobile e ammirevole, specialmente per una stagione, quale la nostra, in cui tutto va via lentamente sgretolandosi dietro una tecnologia superba ma anche mortificante. Egli, come il grillo parlante di Pinocchio, però, resiste; resiste a dispetto della critica, innanzitutto, poi della tecnologia ed infine degli uomini, o meglio, della distrazione o astrazione umana ormai persa dentro il ventre del televisore, balena ingorda e opprimente.


La storia di un artista, dunque, è storia di sogni ed è racconto di segni e colori, storia di avventure che si rincorrono, che vivono l’ansia tragica del proprio tempo; ma è anche storia che cerca il proprio riscatto, che ritesse il compatto tessuto della propria coscienza attraverso simboli e grafie; che tenta di narrare un altro tempo da quello dell’oggi, che ripropone al mondo qualcosa di diverso dal mondo.

Forse tutto questo non porterà Antonio Cremonese a risarcire la ferocia dei nostri giorni, né tanto meno a porre fine al gesto criminale che in ogni epoca è pronto a spargere il proprio veleno, ma qualcosa avrà pur prodotto, a qualcuno avrà fatto pur bene questo suo dono, questa utopica architettura fatta di segni. Di sicuro i suoi colori avranno donato un sogno, una speranza, una prospettiva di fuga dalla miseria di questa realtà. Ed è a questo compito che gli artisti sono chiamati ed è a ciò che la pittura deve assolvere se vorrà avere ancora un senso nel prossimo millennio.  


                                                                                                          Alessandro Masi




Mostra personale al Velabro Club

Testo in catalogo “Il colore del sogno”                                                

giugno      1998